sabato 5 giugno 2010

Sai. (la mia Medicina...)

Sai.

È un pomeriggio di giugno. Come tanti altri, forse me lo ricorderò, forse no, ma chi lo sa. Sta di fatto che ogni giorno ha la sua indistruttibile bellezza, è giusto che sia così, è bello che sia così.
Sai.

Pensavo al mio domani, oggi.

Pensavo a quanta gente sfiduciata c’è a questo mondo… Quante persone vedono un futuro molto, molto ristretto innanzi a loro.

Ho la fortuna di vedere il mondo innanzi a me.

Quando la mattina apro gli occhi, vedo un mondo di infinite possibilità, luoghi, occasioni, incontri. Io faccio quello che faccio non perché non ho altra scelta. Non perché è la quotidianità che me lo impone. Non perché è la cosa più facile da fare, o perché credo che quella strada sia stata già tracciata innanzi a me.

Faccio quello che faccio perché ci credo veramente.

Sai.

Ieri sono arrivata di corsa in Maugeri… Di corsa perché sono tornata a casa a bere il caffè, e tra una chiacchiera e una dispensa di scienze dell’alimentazione dimenticata, ho fatto un po’ tardi (che poi, per me fare tardi vuol dire arrivare giusta e non con il classico anticipo di mezz’ora). Ho parcheggiato con una manovra sola, sono saltata giù, ho raccattato di corsa camice e fonendo, e senza neanche metterli in borsa, ho cominciato la mia corsa verso il reparto di Medicina dello Sport (repartone, mi direte voi. Ma al secondo anno, che volete di più dalla vita?). Camminavo veloce, per quei corridoi che sembrano sempre troppo grandi, stringendo forte camice e fonendo malamente imbustati, schivando barelle, la borsa ancora stracolma dall’Ospedale dei Pupazzi sulla spalla, le chiavi della macchina appese a un dito, gli occhiali da sole in mano. Vogliamo vederla oggettivamente? Ecco a voi: ero di fretta, avevo caldo, non avevo neanche avuto il tempo di sciacquarmi la faccia, ero carica come Babbo Natale (anche se questo ormai è la norma, dalle mie parti…!!! XD), aprivo i maniglioni antipanico a spallate, per mancanza di mani libere, e probabilmente ero anche un po’ ridicola… Ma, mentre camminavo, non pensavo a tutto questo. Non lo realizzavo neanche. Pensavo al fatto che entrare in Maugeri, o in Santa Margherita, mi ha sempre fatto un’impressione strana. Un’impressione bella e splendida. Di serenità e tranquillità. Sensazioni che derivano dal fatto che io sto entrando in un posto che è il MIO posto. È il posto che io occuperò nel mondo… Ed è quello giusto, perché non potrebbe e non potrei essere nulla di diverso. È un sentimento strano… Senti di essere il giusto pezzo del puzzle messo al posto giusto… Certo che… Uno si chiede come si fa a fare medicina? Sei anni di studio… Ti laurei e non sei nessuno! Ancora cinque di specialità. Se ci pensi, ti convinci che sia una cosa per pochi eletti illuminati. Io sinceramente con una bella dose di incoscienza non ci pensavo, quando con una determinazione che ancora mi chiedo come e da dove ho tirato fuori, ho messo quelle due crocette di numero… Ai tempi non ci pensavo, no. Ai tempi ho eliminato ogni pensiero, sostituendolo con “Quella è la tua strada, e c’è un muro che la sbarra… Bene, è inutile girarci attorno per cercare la porta, bisogna prenderlo a testate finchè non cade”. Ma adesso, se ci penso, capisco che non è una cosa per pochi eletti illuminati (anche perché, io non sono mica un genietto!!! Su di me nessuno scommetterebbe una cicca, al primo sguardo… XD). Sì, ci sono i momenti in cui non ti passa più… Non ti passano più le pagine del libro di fisiologia, sei stufa di pensare sempre e comunque che non sai una mazza anche se stai studiando da una vita, sei stufa di girare con dei libroni immensi che ti spaccano la spalla ogni giorno… Però poi entri in ospedale, entri in reparto, metti il tuo camice, fonendo al collo. E non si sa per quale strana ragione, ti senti al tuo posto, e in pace col mondo. Cosa potrebbe chiederti altro, il mondo? Sei al tuo posto, e sei felice di esserlo… E non si sa come, se passi un pomeriggio in ospedale, quella non è mai una giornata che “è cominciata male e finirà peggio”, ma, se è cominciata male, finirà meglio. Sono una pischella del secondo anno, e tantissime cose mi risultano incomprensibili; a volte, sotto il camice, penso anche che forse sono cose che dovrei sapere, e che so troppo poco, pur studiando “tanto”… Però, non si sa come, niente di tutto questo riesce a demoralizzarmi, fare “il lavoro col camice” è qualcosa di infinitamente motivante; ci può essere la timidezza dell’inizio, senz’altro, la paura di sbagliare, in poche parole la paura di essere chiamata “dottoressa” indebitamente, senza meritarlo… Però poi sei lì, e non fa niente anche se sei fisicamente a pezzi, non lo senti neanche, cerchi di assimilare quanto più puoi, e che ti serva e che ti aiuti… E quando esci, e respiri di nuovo l’aria fresca di quello che ormai è il tramonto, sospiri… E ad un certo punto realizzi che stai bene!! Tutta la stanchezza di prima, sembra essere svanita con un soffio, ne rimane solo un ricordo addolcito…

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